È degli ultimi giorni la notizia che il Tar Lazio, con la sentenza n. 219 del 7 gennaio, ha rigettato il ricorso promosso da un comitato di cittadini per l’annullamento della delibera con cui la Regione Emilia-Romagna autorizzava un importante cementificio del piacentino ad utilizzare il CSS proveniente da rifiuti al posto dei tradizionali combustibili fossili.

Una pronuncia storica grazie alla quale il nostro Paese fa un importante passo avanti nella direzione dell’economia circolare ma che, inevitabilmente, riaccende con toni aspri la polemica sul combustibile solido secondario.

Le doglianze sollevate dai cittadini di Vernasca (PC) nel ricorso sottoposto al vaglio del TAR Lazio, infatti, testimoniano ancora una volta che sul tema c’è molta confusione posto che, nelle stesse si lamenta che:

  • l’utilizzo del CSS quale combustibile è contrario ai criteri di priorità nella gestione dei rifiuti cui all’art. 179 del Testo Unico Ambientale;
  • tale materiale è più pericoloso per la salute e più inquinante del comune pet-coke fossile derivante dalla raffinazione del petrolio impiegato comunemente nei cementifici.

Ragioni per cui i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del provvedimento autorizzatorio della Regione perché ritenuto lesivo, tra l’altro:

  • dei principi di matrice europea della Circular economy ;
  • nonché del noto principio di precauzione dettato dall’Unione Europea (art. 191 del TFUE) e ribadito dal Testo Unico Ambientale (art. 301 Dlgs n. 152/2006), in base al quale l’esigenza di tutela della salute dei cittadini deve prevalere sugli interessi economici in ogni caso di rischio, anche solo potenziale.

Cerchiamo allora di fare chiarezza sulla questione e di comprendere, innanzitutto, che cos’è il combustibile solido secondario e, soprattutto, perché se ne fa un gran parlare.

Forse non tutti sanno, infatti, che il combustibile solido secondario è un particolare tipo di combustibile prodotto dai rifiuti, che generalmente viene considerato come rifiuto speciale e quindi chiamato CSS-rifiuto ma che a determinate condizioni dettagliatamente previste dal decreto ministeriale numero 22 del 14 febbraio 2013 (c.d. Decreto Clini) può anche dismettere la qualifica di rifiuto, diventando end of waste e mutando il nome in CSS-combustibile.

Sia che si tratti di CSS-rifiuto, che di CSS-combustibile il suo utilizzo non è però libero.

Il CSS-combustibile, una volta prodotto,  può infatti essere utilizzatocome accaduto nel caso di speciesolamente in specifici impianti,ossia in:

  1. cementifici aventi capacità di produzione superiore a 500 ton/g di clinker (il componente base per la produzione del cemento);
  2. ovvero in centrali termoelettriche con potenza termica di combustione superiore a 50MW.

Entrambi gli impianti devono poi essere autorizzati con Autorizzazione Integrata Ambientale e dotati di adeguate certificazioni ambientali.

Ecco che allora, a differenza di quanto affermato dai Comitati del No al CSS nel ricorso dinanzi al TAR Lazio, al ricorrere delle condizioni di legge, l’utilizzo di CSS in cementifici non solo è possibile, ma deve ritenersi addirittura preferibile in ragione dei numerosi vantaggi energetici ed ambientali connessi al suo utilizzo.

E ciò in quanto, come giustamente osservato dai Giudici Capitolini, il suo impiego è perfettamente in linea con i principi di matrice europea della Circular economy, costituendo una vera e propria forma di recupero di rifiuti (ai fini di un loro sfruttamento nell’ambito dell’efficientamento energetico).

Inoltre, tra i benefici energetici derivanti dal suo impiego nei cementifici si possono annoverare:

  • la riduzione della dipendenza da combustibili importati dall’estero;
  • la riduzione del consumo di risorse naturali, quali ad esempio carbone fossile;
  • l’incentivo al raggiungimento degli obiettivi in materia di fonti energetiche rinnovabili.

Analogamente, tra i vantaggi ambientali si contano:

  • la riduzione delle emissioni in atmosfera di gas acidi, anidride carbonica, diossine e metalli pesanti;
  • un risparmio di risorse di origine fossile, con meno produzione di gas serra;
  • l’assenza di ceneri e residui di combustione da smaltire in quanto inglobati nel cemento.

Parimenti, quanto alla presunta violazione del principio di precauzione, il TAR Lazio ha superato le argomentazioni dei cittadini emiliani, chiarendo che:

  • se da un lato, per l’applicazione di detto principio occorre che esista una vera e propria “incertezza scientifica” circa le conseguenze su ambiente e salute derivanti dall’impiego di determinati prodotti nell’attività industriale;
  • dall’altro, “l’osservanza di tale, pur fondamentale, principio, non può spingersi al punto di impedire l’ammodernamento tecnologico di impianti produttivi in presenza di meri timori o incertezze ed a fronte dell’espletamento di una istruttoria aperta anche al confronto con il territorio”, come accaduto nel caso di specie.

L’insegnamento che dunque dobbiamo trarre da questa importante pronuncia del TAR Lazio è che l’impiego di CSS nei cementifici risulta essere una soluzione da prendere seriamente in considerazione al di fuori di inutili allarmismi.

La tutela dell’ambiente e dei cittadini può infatti essere raggiunta in diversi modi, che non devono essere considerati subito e per forza negativi ma che, al contrario, grazie al progresso tecnologico cui assistiamo, sono sempre più a portata di mano.

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