Sull’onda del “fenomeno Greta Thumberg”, si sono moltiplicate le iniziative volte a rendere, il nostro, un Paese “plastic free”.

In molte città italiane si è, ad esempio, deciso di vietare nei locali aperti al pubblico l’utilizzo di piatti, bicchieri e cannucce monouso in plastica fossile. Molti cittadini hanno, invece, deciso di limitare l’uso della plastica nella loro vita, decidendo di sostituire le “bottigliette d’acqua”, con borracce in alluminio ricaricabili. E molto altro ancora.

Tante e lodevoli, quindi, le iniziative in campo, che tuttavia rappresentano solamente la punta di un iceberg ben più complesso.

Tanto per citare dei dati, la produzione di plastica nel mondo cresce a ritmi vertiginosi, tanto da sfiorare in tempi recenti i 322 milioni di tonnellate annui; il settore impiega circa 1.5. milioni di persone, per un giro d’affari di 340 miliardi di euro e ogni anno finiscono in mare tra i 5 e i 10 milioni di tonnellate di plastica1.

L’aggravarsi del fenomeno, si ritiene per lo più imputabile al fatto che il potenziale di riciclaggio/recupero dei rifiuti in plastica è ancora in larga misura non sfruttato. A differenza di altri materiali come la carta, il vetro e il metallo.

Ad esempio, dei 28,5 milioni di rifiuti in plastica prodotti ogni anno dall’Europa – di cui il 59% provenienti dagli imballaggi – meno del 30% viene raccolto e riciclato!!!

Una percentuale assai significativa viene addirittura trattata in Paesi Terzi, dove è ben possibile che gli standard ambientali siano ben più bassi di quelli europei.

E ciò comporta per l’economia, secondo stime recenti2, la perdita del 95% del valore del materiale plastico, ossia di una cifra compresa tra i 70 e 105 miliardi di euro l’anno.

A fronte di percentuali di riciclaggio/recupero così basse, a farla da padrone sono le diverse forme di smaltimento, tra cui l’abbandono e l’abbancamento in discarica.

La sfida è, e sarà dunque, quella di aumentare significativamente le percentuali di riciclaggio/recupero dei rifiuti in plastica

Date anche le lungaggini connesse alla riconversione di interi settori produttivi, che nel passaggio dalla plastica fossile a quella biodegradabile/compostabile necessitano di tempi lunghi di adattamento, nonché l’esborso di notevoli capitali. E che nella spietata competizione commerciale certamente vedono penalizzate le piccole e medie imprese, spesso impossibilitate a far fronte a tali esosi investimenti.

La vera svolta, nell’immediato, è dunque quella di sensibilizzare – cittadini, imprese e i vari enti coinvolti – al riciclo/recupero dell’esistente, anche attraverso l’introduzione di penetranti sistemi di responsabilità estesa del produttore del prodotto, che impongono ai produttori di oggetti in plastica di organizzarsi al fine di prevedere adeguati modelli di raccolta e riciclo di tali prodotti. In linea, le previsioni del recentissimo art. 226-quater del Testo Unico Ambientale.


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